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Immagine del redattoreFrancesco Loffredo

VR per la salute psicofisica

Quando parliamo di realtà virtuale intendiamo un sistema che permette ad un utente di interagire con un mondo creato artificialmente all’interno di un software.


Normalmente ci riferiamo a quella che viene chiamata realtà virtuale immersiva, ovvero quelle tecnologie che isolano l’utente a livello visivo e uditivo dal mondo reale.


Alcuni esempi dei prodotti più recenti in commercio sono:

  • Sony PlayStation VR

  • Oculus Quest 2

  • HTC Vive Cosmos

Sony PlayStation VR
Oculus Quest 2
HTC Vive Cosmos

Questa tipologia è quella che viene principalmente utilizzata dai videogiochi, portando una grande innovazione alle esperienze che si possono creare.


Un’altra possibilità è quella che viene chiamata realtà virtuale semi-immersiva in cui le immagini non vengono generate da un visore, ma vengono proiettate sulle pareti della stanza.

Questa variante viene utilizzata principalmente in musei o a scopo terapeutico, sia per il costo notevole più alto sia per la minore “intrusività” dell’esperienza.


La VR in psicoterapia


Uno degli ambiti che a partire dai primissimi studi di fine anni ’90 (Rothbaum et al. 1995; North, North & Coble, 1997) ha beneficiato dell’utilizzo della realtà virtuale è senza dubbio quello della psicoterapia: attraverso l’ausilio di questa tecnologia, si viene proiettati all’interno di ambienti virtuali sempre più simili a quelli reali, in cui è possibile muoversi ed interagire in modo attivo, senza correre alcun rischio.


Ricerche scientifiche di psicologi come Riva, Rizzo, Clark e Kim hanno dimostrato l’utilità dell’impiego di queste metodologie nel trattamento di svariati disturbi, tra cui disturbi d’ansia, disturbi fobici, disturbo post-traumatico da stress, disturbo ossessivo compulsivo, disturbi del comportamento alimentare.


Senza dubbio, l’approccio che maggiormente si presta all’utilizzo della VR è quello cognitivo – comportamentale: andando più nello specifico, gli ambienti virtuali possono aiutare i pazienti ad esporsi agli oggetti/situazioni temute, tecnica molto utilizzata nel trattamento delle fobie specifiche; alcuni esempi classici sono l’esperienza di salire su un aereo, camminare sul tetto di un grattacielo, venire immersi in ambienti pieni di ragni o insetti, trovarsi a parlare di fronte ad una folta platea.

All’interno del percorso terapeutico, solitamente viene proposto ai pazienti di esporsi agli stimoli temuti in modo molto graduale: ecco perché in molti casi si parte da un’esposizione immaginativa (che consiste nel provare ad immaginare, insieme al paziente, un particolare contesto nel modo più vivido e dettagliato possibile), per poi arrivare solo in un secondo tempo ad esposizioni in vivo (nel mondo reale). È facile immaginare come la realtà virtuale possa inserirsi all’interno di questo paradigma come interessante punto intermedio, in grado di offrire, nello stesso tempo, esperienze più immersive ed intense rispetto a quelle immaginative, ma anche più gestibili (ed in alcuni casi controllabili e sicure) rispetto a quelle in vivo.


La VR come antidolorifico


Altro ambito in cui la VR ha mostrato enormi potenzialità è quello medico: un gruppo di ricercatori statunitensi ha messo a punto, nel 2011, un sistema in grado di attenuare le sensazioni dolorose dei pazienti, immergendoli in un mondo virtuale ghiacciato, chiamato SnowWorld. Questa tecnica è stata utilizzata, per aiutare pazienti gravemente ustionati a sopportare il dolore causato dai quotidiani cambi delle bende.

Come spiega Hunter Hoffman, uno dei professori che hanno contribuito alla realizzazione di questo sistema, l’idea si basa sulla componente psicologica coinvolta nelle sensazioni dolorifiche: emozioni, ambiente, presenza o assenza di distrazioni in grado di catturare l’attenzione delle persone rivestono un ruolo tutt’altro che marginale. In particolare, i pazienti ustionati riferiscono spesso di provare ansia alla sola vista degli strumenti per la medicazione; concentrarsi su stimoli ambientali associati ad esperienze dolorose, porta ad amplificare le sensazioni dolorose stesse. SnowWorld si basa proprio sul tentativo di sfruttare questi concetti per ottenere un effetto opposto: l’obiettivo è quello di attrarre il più possibile l’attenzione dei pazienti, utilizzando - non a caso - un ambiente ghiacciato per contrastare il ricordo del fuoco. Inoltre, come ulteriore fattore distraente, è previsto anche un coinvolgimento attivo dei “pazienti/giocatori”, ai quali è richiesto di lanciare palle di neve contro pupazzi animati, tentando di non farsi colpire.

Tutto ciò si basa, tra le altre cose, anche su uno dei limiti del nostro cervello, che è in grado di elaborare una quantità limitata di informazioni: impegnando i pazienti nel gioco e nell’esplorazione dell’ambiente virtuale, rimarrà a loro disposizione una minor quantità di risorse cognitive ed attentive per l’elaborazione delle informazioni relative al dolore.



La VR per la riabilitazione motoria


Da un punto di vista neuroscientifico, la VR offre stimolazione multi-sensoriale (visiva, uditiva, motoria e tattile) in grado di evocare il sistema dei neuroni specchio e meccanismi di osservazione dell'azione. Per questo motivo, una delle applicazioni terapeutiche principale riguarda proprio il recupero delle funzioni motorie (Stoykov e Madhavan, 2015).


Ad esempio, le persone affette da malattia di Parkinson hanno mostrato un miglioramento delle prestazioni dopo il training con realtà virtuale, nel rispondere al movimento degli stimoli sia in VR che in ambienti fisici (Wang, 2011).


Il feedback motorio in tempo reale può anche essere utilizzato per potenziare il controllo del movimento e per ridurre i movimenti di compensazione, come lo spostamento eccessivo del tronco (Subramanian 2013).


L'aggiunta di feedback vibrotattile sui tubi che simulano i remi in un gioco di canottaggio basato sulla realtà virtuale, con un avatar che rappresenta le braccia dell'utente che rema da una prospettiva in prima persona, può aiutare a trasmettere all'utente l'illusione del movimento (Vourvopoulos 2016).

 

L’esperienza VR, inoltre, permette di ricreare delle situazioni di vita quotidiana come cucinare (Foloppe, 2018) o fare la spesa in un supermercato virtuale (Rand, 2009). Questa possibilità, non solo rende più accessibile e familiare l’attività di riabilitazione ma può contribuire al trasferimento diretto dei risultati della formazione al rientro nella quotidianità.


Un’altra caratteristica fondamentale per un programma riabilitativo efficace è la possibilità di modellare la formazione in base alle esigenze e alle prestazioni del paziente. La VR consente facilmente di adattare progressivamente il programma di allenamento tramite sistemi automatizzati basati sulle prestazioni del paziente, per adeguare i livelli di difficoltà del compito, o sulla base di terapie di rinforzo, per contrastare l’inibizione all’uso degli arti menomati (Ballester, 2015).


Per questo, i programmi di riabilitazione mediati dalla VR forniscono un mezzo ideale per garantire il continuum delle cure, dalle prime fasi in ospedale fino agli interventi domiciliari e al follow-up. (Daniel Perez-Marcos, Mélanie Bieler-Aeschlimann and Andrea Serino 2018)


La realtà virtuale è destinata a diventare onnipresente nella nostra società, grazie all'arrivo sul mercato di massa di dispositivi facili da usare e convenienti, che sono perfettamente idonei per il trattamento domiciliare.

 

Bibliografia:

- Ballester, B. R., Nirme, J., Duarte, E., Cuxart, A., Rodriguez, S., Verschure, P., & Duff, A. (2015). The visual amplification of goal-oriented movements counteracts acquired non-use in hemiparetic stroke patients. Journal of neuroengineering and rehabilitation, 12, 50. - Debbie Rand, Patrice L. (Tamar) Weiss, Noomi Katz; Training Multitasking in a Virtual Supermarket: A Novel Intervention After Stroke. Am J Occup Ther 2009;63(5):535–542. - Foloppe, D. A., Richard, P., Yamaguchi, T., Etcharry-Bouyx, F., & Allain, P. (2018). The potential of virtual reality-based training to enhance the functional autonomy of Alzheimer's disease patients in cooking activities: A single case study. Neuropsychological rehabilitation, 28(5), 709–733. - Perez-Marcos, D., Bieler-Aeschlimann, M., & Serino, A. (2018). Virtual Reality as a Vehicle to Empower Motor-Cognitive Neurorehabilitation. Frontiers in psychology, 9, 2120. - Subramanian, S. K., Lourenço, C. B., Chilingaryan, G., Sveistrup, H., & Levin, M. F. (2013). Arm motor recovery using a virtual reality intervention in chronic stroke: randomized control trial. Neurorehabilitation and neural repair, 27(1), 13–23. - Stoykov, M. E., & Madhavan, S. (2015). Motor priming in neurorehabilitation. Journal of neurologic physical therapy : JNPT, 39(1), 33–42. - Vourvopoulos, A.; Ferreira, A. and Bermúdez i Badia, S. (2016). NeuRow: An Immersive VR Environment for Motor-Imagery Training with the Use of Brain-Computer Interfaces and Vibrotactile Feedback.In Proceedings of the 3rd International Conference on Physiological Computing Systems - Volume 1: PhyCS, ISBN 978-989-758-197-7, pages 43-53.


- Wang, C. Y., Hwang, W. J., Fang, J. J., Sheu, C. F., Leong, I. F., & Ma, H. I. (2011). Comparison of virtual reality versus physical reality on movement characteristics of persons with Parkinson's disease: effects of moving targets. Archives of physical medicine and rehabilitation, 92(8), 1238–1245.

 

Sitografia:



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