La parola all'esperto: Matteo Sciutteri per PAGE
top of page
Cerca
  • Immagine del redattoreMichela Galluccio

La parola all'esperto: Matteo Sciutteri per PAGE

Michela: Ciao Matteo, sono Michela Galluccio e insieme ad Alex, Francesco e Andrea, formiamo PAGE, Psychology Application on Gaming Evolution. Il nostro neonato progetto ha come obiettivo la divulgazione di tematiche legate alla psicologia e ai videogiochi, con un focus particolare sui numerosi link che ci sono tra queste due discipline. Il mese di maggio l’abbiamo dedicato ad un argomento piuttosto scottante, seppur ricco di spunti di riflessione: la violenza nei videogiochi. Ogni mese cerchiamo di affrontare la tematica scelta sia dal punto di vista psicologico che da quello più “gaming”, e possiamo riuscirci anche grazie alla eterogeneità di competenze ed esperienze presente all’interno del team. Ma ci siamo resi conto di quanto fosse importante, per poter restituire alla nostra utenza una testimonianza ancora più reale e completa, anche il punto di vista di un esperto del settore e, stavolta, abbiamo scelto te! Per iniziare, raccontaci qualcosa di te!


Matteo: Ciao Michela! Grazie per l'opportunità che mi state dando di esprimere il mio punto di vista su un argomento così complesso. Innanzittutto mi presento: sono Matteo Sciutteri, lavoro come game designer da circa 20 anni e ricopro attualmente il ruolo di CEO dell'azienda Runeheads, una piccola casa indipendente di sviluppo in attività da circa tre anni. In passato ho lavorato per molte realtà italiane e non, da grandi a piccole, per poi decidere di fare il grande passo e diventare indipendente al 100%. In questo momento, l'azienda è composta da due persone (me e Moreno, il mio socio), e abbiamo appena rilasciato il nostro secondo gioco (Conglomerate 451). Questo mio background mi ha portato a lavorare su giochi molto differenti tra di loro, alcuni più vicini ai temi che volete affrontare e altri un po' più distanti.


Michela: Fantastico, grazie davvero per la disponibilità e complimenti per il tuo lavoro. A questo punto non mi resta che andare dritta al sodo e iniziare con le domande! La prima è questa:

perché un game designer dovrebbe inserire violenza nei videogiochi? Quali sono gli obiettivi fondanti di questa scelta?

Matteo: La violenza è un mezzo con il quale si sviluppano temi e situazioni di gioco, al fine di trasmettere un certo tipo di esperienza. E' presente in ogni tipo di fiction, dal cinema ai libri, e - se utilizzata nel modo corretto - può essere un veicolo molto forte di sensazioni e temi trasmessi. Quando si sviluppa un gioco, la prima domanda che ci si pone è: qual è il mio target? A chi è rivolto? E, successivamente: quale voglio che sia l'esperienza che i giocatori affronteranno con il mio gioco? Ci sono molti motivi che possono portare a scegliere di inserire elementi di violenza, o addirittura di costruire attorno a questo tema l'intero gioco. Tutto dipende da quale vuoi che sia l'esperienza per l'utente finale. Per esempio: se voglio che il gioco rappresenti lo sbarco in Normandia dal punto di vista di un soldato americano, la violenza (subita o inflitta) servirà a trasmettere una serie di esperienze al giocatore. Chiaramente ci sono molti modi per rappresentare la violenza: può essere più o meno realistica, può essere più o meno brutale, può essere fisica o mentale, ecc.


Michela: Ok, ma

uno sviluppatore guadagna di più creando contenuti violenti? Se sì, per quale motivo?

Matteo: Non è una regola; non è così scontato che facendo un gioco violento allora venderai di più. Anzi. Ci sono stati anni in cui il gioco più venduto era Pokemon. Anni in cui era un gioco sportivo (negli USA per esempio è spesso Madden il gioco più venduto dell'anno). Ovviamente ci sono giochi che si basano sulla violenza che sono dei blockbuster (penso a GTA5 o a Call of Duty). Poi bisogna anche capire cosa intendi con "violenza" in un gioco. Fortnite è un gioco dove ci si spara e ci si "uccide" come scopo del gioco, ma ha uno stile molto cartoon e molto leggero e, per gli standard della nostra società, è considerato "poco violento".


Michela:

A te è mai capitato di sviluppare un videogioco violento? Se sì, ti sei preoccupato in qualche modo dell’impatto che la violenza potesse avere sui tuoi giocatori?

Matteo: Il gioco più violento che ho sviluppato è stato Fall of Light, il primo gioco come indipendente. Ci sono un paio di punti abbastanza oscuri e gritty, ma è alla stregua di una favola cupa di Tim Burton, quindi direi che secondo la classificazione di cui sopra non è davvero un gioco violento. Se dovessi lavorare a un titolo con un'esperienza di gioco molto più violenta mi preoccuperei soprattutto di presentare nella maniera corretta il prodotto, specificando a quale fascia di età è rivolto. Se faccio un gioco molto violento, non voglio che finisca nelle mani di un ragazzino di 10 anni, ovviamente.


Michela: Durante quest'ultimo mese, nel team si è discusso molto di violenza nei videogiochi e a un certo punto ci siamo chiesti:

perché ci sono delle tipologie di violenza che sono condannate di più rispetto ad altre nei videogiochi? L’omicidio, ad esempio, sembra essere più facilmente fruibile e accettabile (GTA è tra i più famosi e venduti), rispetto al più condannato stupro (Rape day, rimosso dalle principali piattaforme di gioco).

Matteo: Questo non ha nulla a che fare con "il videogioco", in realtà. E' proprio la classificazione che la società moderna occidentale fa di certi argomenti. Ha a che fare con la moralità delle persone e della società, e si applica a tutti i prodotti non solo nei videogiochi. Di fatto, dal dopo guerra in poi, la società moderna imita lo stile di vita e gli standard degli USA. E negli Stati Uniti se un ragazzino ha una pistola è ok, mentre se si vedono due corpi nudi in televisione è male (ovviamente sto estremizzando e so benissimo che ci sono tutta una serie di movimenti e associazioni contro la diffusione delle armi da fuoco che si stanno spendendo, affinché quello che è uno dei problemi più complicati di quella nazione sia affrontato e risolto). Chiaramente i videogiochi non fanno eccezione.

Michela: Domanda da psicologi (potrai mai perdonarci?). Esiste una vera e propria dissonanza tra le azioni che facciamo nel videogioco (uccidere, picchiare) e ciò che sentiamo se pensiamo di farle davvero; per questo, molto probabilmente, nella realtà non picchieremmo o uccideremmo mai una persona.

Perché, secondo te, esiste questa dissonanza? Cosa ci “protegge” dal confinare queste azioni nella parte virtuale della realtà?

Matteo: E' la stessa dissonanza che si crea quando guardo una serie tv come The Punisher. Direi che un individuo adulto, capace di percepire la realtà e distinguerla dalla finzione e che ha in sé un elenco di principi morali simili a quelli che fanno da fondamento alla società nella quale viviamo (instillato dalla società, innato, ereditato da una fede - in questo momento non è importante), sa benissimo che uccidere o fare del male a qualcuno è sbagliato. E quindi sa scindere tra finzione (dove è ok la violenza) e realtà (dove la violenza è sbagliata). Chiaro che non sempre questa scissione avviene - ma nel caso non avvenga è perché ci sono problemi alla base di questa capacità di scissione tra finzione e realtà.

Michela: Ultimo domandone personale.

Da gamer, preferisci i videogiochi con contenuto violento? Se sì, perché? Se no, perché?

Matteo: Da gamer apprezzo i giochi che mi danno qualcosa. Indipendentemente dal fatto che siano più o meno violenti. Ci sono giochi violenti che mi hanno fatto divertire tantissimo (penso al recente Doom) e giochi violenti che invece mi hanno annoiato (penso a PayDay). Non credo che "violento - non violento" sia un bivio per definire la qualità o la capacità di un gioco di trasmettere divertimento. Come sempre a fare la differenza è l'esecuzione con la quale si costruisce e si realizza il prodotto. Ma, anche qui, è davvero simile a quello che succede in tutti gli altri campi dell'intrattenimento: se un film è divertente e girato bene lo è a prescindere da quanta violenza è rappresentata o meno. E' chiaro che ogni persona possiede una sensibilità differente su certi argomenti. A me, per esempio, fanno impressione le scene (sia nei film che nei giochi) dove un personaggio è ferito e deve essere operato. Non riesco proprio a guardarle senza stare male. Ognuno è fatto in maniera diversa - e anche nei confronti della violenza credo che ognuno debba capire soprattutto i propri gusti e limiti. Se non ti piace dover ammazzare a sangue freddo delle guardie, probabilmente Assassin's Creed non è il gioco che fa per te.

41 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti
bottom of page