Michela: Buongiorno Davide, sono Michela Galluccio e insieme ad Alex De Nittis, Francesco Loffredo e Andrea Ancona, formiamo PAGE, Psychology Application on Gaming Evolution. Il nostro neonato progetto ha come obiettivo la divulgazione di tematiche legate alla psicologia e alle nuove tecnologie – in particolare i videogiochi – con un focus particolare sui numerosi link che ci sono tra queste discipline.
Sul nostro blog e sulla nostra pagina Facebook, postiamo settimanalmente articoli scritti di nostro pugno, allo scopo di abbattere alcune false credenze che ancora oggi esistono in merito ai videogiochi e aumentare la fruibilità di tali temi: cerchiamo costantemente di sensibilizzare l’opinione pubblica, affinché si generi una maggiore apertura dei confini della conoscenza, in nome della corretta informazione, che secondo noi è il primo passo per accedere alla consapevolezza.
Il mese di giugno l’abbiamo dedicato ad un argomento complesso, seppur ricco di spunti di riflessione: il rapporto tra i genitori e i videogiochi. Ogni mese cerchiamo di affrontare la tematica scelta sia dal punto di vista psicologico che da quello più “gaming”, e possiamo riuscirci anche grazie alla eterogeneità di competenze ed esperienze presente all’interno del team. Ma ci siamo resi conto di quanto fosse importante, per poter restituire alla nostra utenza una testimonianza ancora più reale e completa, anche il punto di vista di un esperto del settore e, stavolta, abbiamo pensato a te.
Per iniziare, ti faccio una domanda per conoscerti meglio!
Sei docente alla Scuola di Specializzazione “Studi Cognitivi” dove insegni il Cool Kids Program e fondatore del Centro Ieled. Ti andrebbe di raccontarci in che modo ti sei avvicinato a questa professione e, nello specifico, alla psicologia dell’età evolutiva?
Davide: Il mio interesse per la psicologia è nato alle superiori, quando la mia prof di matematica mi ha consigliato di leggere un libro che mi ha cambiato la vita. Il libro di chiama “Godel, Escher e Bach” di Douglas Hofstadter. Nel libro si parla delle analogia tra il teorema di Godel, le opere di Escher e la le fughe di Bach, ma sopratutto si parla della mente, di filosofia della mente e di Intelligenza Artificiale. La parte sulla mente mi ha affascinato così tanto che ho deciso di studiare psicologia all’università. Rispetto alla scelta di lavorare nell’età evolutiva, il mio interesse è nato durante il tirocinio post lauream, quando ho fatto un corso sul metodo Feuerstein (un programma di potenziamento cognitivo per l’età evolutiva) e ho iniziato a lavorare con i bambini. Questa prima esperienza mi ha molto colpito e mi ha fatto decidere di orientare la mia professione proprio sull’età evolutiva.
Michela: Molto interessante e complimenti per il tuo lavoro. A questo punto non mi resta che andare dritta al sodo e iniziare con la nostra intervista! La prima domanda che ti faccio è:
in base alla tua esperienza clinica, in che modo è cambiato, negli ultimi anni, il rapporto tra genitori e figli videogiocatori?
Davide: Una grande differenza tra i genitori di adesso e i genitori delle generazioni passate è che i genitori di oggi hanno giocato ai videogiochi quando erano bambini e quindi sanno, più o meno, di cosa si sta parlando. Tuttavia, questo potrebbe essere un motivo di incomprensione, perché i videogiochi sono cambiati profondamente nel corso degli anni. Un conto è giocare Super Mario Bros sul NES, un altro è giocare a Fortnite.
Michela: Sono assolutamente d'accordo. Secondo te, invece,
quali sono le maggiori incomprensioni e conflitti che si creano tra genitori e figli in merito al rapporto con i videogiochi?
Davide: Le maggiori incomprensioni derivano dall'ignoranza di alcuni genitori sia riguardo le tipologie di giochi da dare ai loro figli, sia le modalità stesse dei nuovi videogiochi. Banalmente, ci sono ancora molti genitori che non hanno capito che non si può “salvare” una partita online. Per evitare i conflitti, i genitori dovrebbero conoscere le tipologie di giochi che i loro figli fanno, in modo da strutturare un’esperienza che sia in linea con la natura del gioco che i bambini fanno.
Michela:
fino a che punto e in che modo i genitori dovrebbero intervenire nelle scelte dei figli per quanto riguarda i videogiochi? A tal proposito, pensi sia importante ed utile monitorare anche la disponibilità e l’accesso ai giochi free-to-play?
Davide: I genitori dovrebbero assolutamente sapere quali giochi i loro figli stanno facendo. Così come un genitore non fa vedere ogni tipo di film a suo figlio o non lo lascia navigare senza protezioni nel web, allo stesso modo dovrebbe monitorare i videogiochi che girano a casa. Sento troppi bambini i cui genitori hanno regalato GTA 5, per fare un esempio, un gioco che è un capolavoro, ma assolutamente deleterio per un bambino. Rispetto ai free-to-play, il discorso è lo stesso: non è tanto la forma a essere problematica, ma la sostanza.
Michela: Invece, riguardo la tua figura professionale,
quanto conta al giorno d'oggi, per un professionista in psicologia dell’età evolutiva, avere una conoscenza in ambito tecnologico e videoludico?
Davide: Conta tantissimo, visto che i bambini e i ragazzi passano un sacco di tempo su internet e sui videogiochi. Io ho dovuto sorbirmi youtuber, trapper, ecc., per sapere quello che i ragazzi condividono giornalmente. Mi sono addirittura scaricato TikTok!
Michela: Ahahah hai fatto benissimo! Ti faccio un'ultima domanda, dettata soprattutto dalla curiosità del team, di cui - come sai - fanno parte anche psicologi (io stessa lo sono).
Da terapeuta, che gioco useresti con pazienti bambini e/o adolescenti? Ritieni che esistano dei casi in cui il videogioco possa diventare uno strumento terapeutico anche con gli adulti?
Davide: Al momento non utilizzo videogiochi in terapia. Penso però che nel futuro le interazioni con gli ambienti dei videogiochi aumenteranno sempre di più. Fortnite sembra ambire a diventare qualcosa di più di un videogioco, come i concerti e gli eventi dimostrano. Ricordo che l’ultimo concerto su Fortnite di un rapper americano, Travis Scott, è stato visto da 12 milioni di persone. Io ho partecipato e devo dire che l’esperienza mi ha colpito molto, il senso di presenza era molto forte. Ho visto alcuni videogiochi creati espressamente per il trattamento di patologie specifiche, ma devo dire che non mi hanno convinto, perché sia l’impatto grafico (pessimo), sia la giocabilità (anch'essa pessima) erano, come posso dire...pessimi.
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