Cercare “genitori e videogiochi” su Google è uno dei primi passi che ho mosso per iniziare a scrivere questo articolo. Non mi nascondo dietro ad un dito: la maggior parte degli articoli scritti che collegano queste due parole chiave riguardano essenzialmente il tempo passato a giocare, la paura dei videogiochi che “accalappiano” i più piccoli e, come mi aspettavo, Fortnite.
Ma facciamo un passo indietro di circa due anni, quando mi sono trovato a parlare con un genitore, nello specifico una mamma, che accompagnata dal figlio è stata condotta da lui nell’Area Family della Milano Games Week, per ascoltare l'intervento del dott. Riccardo Calandra dal titolo “Cambiare l’aspetto del nostro personaggio cambia il nostro approccio al gioco?” riguardo la proiezione di noi stessi all’interno del mondo virtuale.
Dopo un interessante dibattito su come la rappresentazione di noi stessi influenzi la scelta di un'acconciatura piuttosto che il genere sessuale del nostro alter-ego, la suddetta mamma chiese la parola per domandare ai presenti “Mio figlio gioca veramente tanto ai videogiochi e ho paura che questo possa fargli male, cosa posso fare come genitore per evitare dei danni?”.
Senza citare Fortnite, la signora azzeccò esattamente le tematiche che oggi, mentre scrivo questo articolo, si trovano più facilmente sui motori di ricerca.
Dopo l’approfondimento del dott. Calandra, che enunciò come la problematica dei videogiochi fosse dibattuta sul piano delle dipendenze (come abbiamo approfondito nel primo episodio di PAGE) e di come ancora questa paura, seppur giustificata, sia in realtà più fonte di preoccupazioni esterne che non interne al videogioco, mi sono permesso di avvicinarmi alla mamma. Una volta presentatomi a lei sia come psicologo che come studente di Game Design, ci volle poco per farle vuotare il sacco.
Suo figlio giocava con la ormai celebre console di casa Nintendo, che nel solo mese di aprile ha registrato vendite da record. Per quante ore? Non più di paio al giorno, perché per il restante tempo studiava per concedersene di più al fine settimana. Quando le chiesi perché si preoccupava, la risposta fu che “la maggior parte del tempo non gioca veramente ma studia come si fanno i videogiochi: vuole diventare quello che stai facendo tu, un game designer per la Nintendo”. Quello che risposi all’epoca penso che oggi abbia dato al ragazzo ancora più motivo di avvicinarsi alla casa videoludica nipponica: “se un giorno suo figlio lavorerà per Nintendo, pubblicherà giochi adatti a tutta la famiglia, con un'attenzione al mondo della manualità con Nintendo Labo, all’esercizio motorio con PokémonGo (RingFit non era ancora uscito!) e con un simbolo italiano per mascotte. Per farlo, avrà davvero bisogno di tanto impegno e dedizione. La strada per arrivare in Giappone non è lunga solo geograficamente parlando, il mercato dei videogiochi è in costante crescita ed è in continua evoluzione”.
Mi auguro davvero che lei oggi sia più serena quando vede suo figlio con in mano due joy-con e che lui non abbia perso la grinta!

Ma torniamo al presente, perché purtroppo la ricerca non ha condotto solo risultati costruttivi, anzi, esattamente il contrario.
Sfortunatamente, i video che ho seguito su YouTube - solo per citarne uno interessante della dott.sa Laura Pirotta (1) in cui si analizza proprio il vissuto da parte di un genitore alle prese con i figli assidui videogiocatori - rappresentavano scene distruttive. Genitori e ragazzi ripresi in scene punitive, in cui i primi rompevano con mazze, martelli o schiacciando sotto le ruote delle proprie auto le console di videogiochi dei secondi, magari comprati proprio con i loro risparmi. Non voglio descrivervi nel dettaglio le scene di violenza inaudita di queste persone adulte (proprio quelle che devono dare l’esempio!) perché non sarebbe la stessa cosa del guardarle, oppure viverle. Quello che voglio dirvi è che sono stati poi gli stessi ragazzi, in video successivi, a riprendersi mentre distruggevano oggetti personali dei loro genitori: laptop, scooter e tablet.
Davanti a tale spettacolo, sorgono alcuni interrogativi:
1. Perché scegliere queste soluzioni estreme e traumatizzanti per punire i propri figli?
2. Sarebbe stato utile approfondire i motivi per cui il videogioco era diventato così importante?
3. Potrebbe essere utile parlarne tutti insieme, apertamente e sinceramente in famiglia?
Jordan Shapiro (PhD e scrittore americano letto in tutto il mondo, autore di riferimento su Forbes per tematiche come educazione globale, apprendimento attraverso il gioco digitale, ragazzi e adolescenti) cerca di rispondere a queste domande.
Secondo l’autore “i genitori dovrebbero includere il gioco digitale nelle prime attività familiari e poi integrare i social media man mano che i bambini crescono. Devono rendere i rituali digitali parte della vita familiare alla stregua dell’orsacchiotto, la favola della buonanotte e la cena. Grazie ai videogame, ai messaggi, alle chat e alle timeline possiamo preparare i nostri figli per una nuova agorà sociale.”(1)
In effetti, una ricerca effettuata da Microsoft afferma che questo trend familiare è in crescita. Questa ricerca ha analizzato 12 mila famiglie europee, di cui 2.000 italiane. L’articolo di Ansa.it riporta che “il 73% degli intervistati afferma che trascorrere del tempo giocando ai videogame rafforza l'intesa tra genitore e figlio e il 72% crede che il gaming aiuti a cogliere alcuni aspetti della personalità dei propri bambini. Infine, il 61% dei genitori concorda sul fatto che giocare con i propri bambini li aiuti a sentirsi più aggiornati sugli ultimi trend.”(2)
Questi dati ci informano proprio su come le famiglie si stiano evolvendo grazie non solo ai videogiochi ma anche alla tecnologia, che ormai affolla la nostra quotidianità. Spetta ai genitori di oggi creare quella connessione digitale con il futuro, tendere i legami tra l’evolversi dell’intrattenimento e gli strumenti tecnologici utili per affrontare i cambiamenti.
In poche parole, vivere il Joint Media Engagement (JME).
Definizione nata intorno al 2008 con l’esplosione delle piattaforme social, si riferisce non solo a quello che accade sullo schermo tra le persone “a colpi” di tweet, di commenti o di messaggi sulla chat di World of Warcraft, bensì descrive proprio l’unione delle menti, che discutono, co-osservano e interagiscono nella stanza, andando oltre il media stesso. Il JME è proprio lo scambio naturale di pareri, risate e dispute che si ha durante uno spettacolo ad hoc, come una partita di calcio (sia vera sia giocata con FIFA), la visione di un film o un’opera lirica. JME è anche commentare sui social nello stesso momento in cui si guarda un film o ragionarci sopra durante la cena, anche con chi non l’ha visto.
L’esperienza individuale diviene così gruppale ed è fondamentale soprattutto per coloro che vivranno nel futuro: i ragazzi di oggi!
Costruire un rapporto sano con la tecnologia, parlarne e confrontarsi è ciò che spianerà loro la strada.
Tenete a mente che ogni anno la maggior parte dei videogiochi prodotti - circa il 62% nel 2019 (3) - è adatto alla fascia di età fino ai 12 anni. Trattandosi di diverse centinaia, direi che avete una vasta scelta! I videogiochi sono ormai piattaforme potenziate di interscambi sociali, proprio come Fortnite.
Purtroppo gli adulti sono così devoti alle vecchie idee sull’adolescenza che si oppongono ai nuovi spazi transizionali. Questo è un problema, perché quello che serve ai ragazzi è che i genitori smettano di lottare contro il futuro e li aiutino a capire come guidare gli avatar in modo educato, costruttivo e sicuro. Se avete giocato ai videogame con i vostri bambini quando erano piccoli, gli avete già reso un gran servizio. Li avete aiutati in maniera inconscia a sviluppare un’identità stabile adatta a una vita in cui online e offline si mescolano. Ogni conversazione sui videogame che avete avuto a cena ha formato un approccio serio e ragionato. Avete preparato i bambini a riflettere sull’avatar fin da piccoli. Gli avete fornito un’immagine di maturità: l’immagine di mamma o papà sul divano che controlla il Sé virtuale. Se non lo avete mai fatto, va bene lo stesso. Ricordate solo che i bambini hanno bisogno di modelli, quindi non lasciateli da soli con i dispositivi. (4)
Note:
Jordan Shapiro, Il metodo per crescere i bambini in un mondo digitale (2019) Newton Compton, Ebook pos. 1757
Ansa.it Videogames in famiglia, il 72% dei genitori gioca con i figli
IIDEA - Rapporto Annuale "I videogiochi in Italia nel 2019" (link al file.pdf)
Jordan Shapiro, Il metodo per crescere i bambini in un mondo digitale (2019) Newton Compton, Ebook pos. 1987
Fonti:
- Jordan Shapiro, Il metodo per crescere i bambini in un mondo digitale (2019) Newton Compton Editori
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